Papalino, un’azienda tra i calanchi, il Paglia e il Tevere

Ancora Lazio, ancora una volta Tuscia. Questa volta siamo a Civitella d’Agliano. La provincia è quella di Viterbo ma l’azienda è a soli 15 chilometri da Orvieto. Cinque ettari di vigneti collocati in un’area geografica nota per la presenza di calanchi, zone anticamente marine caratterizzate da profonde incisioni presenti in terreni argillosi dovute a fenomeni geomorfologici di erosione per dilavamento da parte delle acque meteoriche. Ma anche una zona prossima al cratere vulcanico che ha dato origine al lago di Bolsena, una zona tufacea ricca di elementi minerali. Un territorio particolarmente vocato alla viticoltura, quindi, per la presenza di argille e sabbie. Le prime danno ai vini struttura, potenza e complessità mentre le seconde contribuiscono alla formazione di profumi e danno finezza ed eleganza.

La storia dell’azienda ha inizio nel 1960, quando Ercole Papalino decide di acquistare 13 ettari dei possedimenti dei Conti Vannicelli per la cifra, all’epoca astronomica, di 4 milioni di lire, producendo cereali e uva. A partire dal 1997 il figlio di Ettore da avvio ad un processo di trasformazione con l’obiettivo di portare l’azienda ad un alto livello di qualità nella produzione di vino ed olio. Inizia così l’avventura di Erminio, che tutt’oggi conduce l’azienda con il figlio Gabriele, studente in comunicazione e marketing. Erminio ci tiene a dire che “l’azienda sono loro due“, che la portano avanti autonomamente grazie al loro intenso lavoro, sia in vigna che in cantina, a cominciare da una fase che ritiene fondamentale per produrre un buon vino che è la potatura secca che lui effettua personalmente.

Erminio e Gabriele hanno ben chiari i loro obiettivi e li mettono nero su bianco: “diventare uno dei principali punti di riferimento per il territorio della Tuscia” ed “effettuare il miglior connubio tra vitigno e territorio, permettendo così di riscoprire antichi sapori“. Obiettivi di eccellenza di cui si trova riscontro non solo nei vini che producono ma anche nella estrema cura del packaging, dalla scelta delle bottiglie (borgognotta per mettere in evidenza il loro vino di punta, bordolese per gli altri) all’etichetta, studiata giocando con la radice del loro cognome (papa-lino) e con il soprannome “Città dei Papi” dato a Viterbo per il fatto che dal 1257 al 1281 fu la sede pontificia al posto di Roma. In questo non lasciare nulla al caso naturalmente vi è anche la scelta dei nomi dei vini.

Lazulum è il nome latino della Lazurite, principale componente minerale del lapislazzulo, dalla cui macinazione si otteneva il colore blu intenso usato negli affreschi medievali (Michelangelo lo utilizzò per affrescare la Cappella Sistina). Ametis deriva dal nome Ametista, bellissima ninfa cui si innamorò Bacco. Per sfuggire al corteggiamento del dio del vino e dei divertimenti invocò la protezione di Artemide che la trasformò in una pietra trasparente. Bacco, infuriato, le gettò contro la sua coppa di vino di cui assunse il colore. Solidago è invece l’antico nome etrusco-romano del giallo (ancora oggi esiste la tonalità giallo-solidago) ma è anche una pianta dai fiori gialli e dalle proprietà medicamentose il cui nome significa solido ovvero che fa guarire completamente. Senauro infine, è l’antico nome etrusco-romano del rosso porpora, all’epoca estratto da un mollusco presente nel Mediterraneo. Veniva usato nella colorazione delle stoffe che, dato il suo costo molto elevato, erano appannaggio delle sole famiglie aristocratiche. Tutti nomi, quindi, legati alla storia del territorio etrusco della Tuscia e della successiva epoca imperiale romana.

Gli assaggi:

IGP Lazio Bianco “Lazulum” 2022: vino prodotto da uve Procanico per l’85-90% e per il restante 10-15% da Malvasia Puntinata. La Malvasia viene raccolta in anticipo rispetto al Procanico e le uve vengono vinificate separatamente con una macerazione prefermentativa sulle bucce a temperatura controllata. Successivamente viene affinato per circa 8 mesi in acciaio. Ha un colore giallo paglierino sottile, al naso l’aromaticità della Malvasia presenta toni discreti ed eleganti, i sentori sono decisamente orientati alla freschezza del fiore e del frutto. Presenta una notevole verticalità gusto-olfattiva, freschezza e sapidità rendono il sorso molto piacevole e di ottima bevibilità.

IGP Lazio Grechetto “Ametis” 2020: è il vino di punta dell’azienda. Prodotto con uve Grechetto clone G109, caratterizzato da una buona dotazione della componente tannica, che si presta bene alla lavorazione in rosso e conferisce al vino notevoli doti di invecchiamento. Le uve vengono raccolte in tre momenti diversi nel periodo che intercorre tra la terza settimana di agosto e l’ultima di settembre. Grazie all’ultima raccolta il vino presenta un colore giallo paglierino intenso, quasi dorato. I sentori olfattivi si rifanno alla frutta gialla polposa e tropicale ma i toni sono comunque freschi mentre l’analisi gusto-olfattiva rivela una bella struttura accompagnata dalla freschezza e dalla sapidità. Il finale presenta una lieve nota ammandorlata.

Tuscia DOP Violone “Solidago 2021”: il Violone è il nome che assume nella zona della Tuscia il Montepulciano. Durante il periodo di fermentazione in acciaio a temperatura controllata i rimontaggi vengono effettuati a mano. Dopo 6 mesi di invecchiamento in acciaio segue un affinamento di 5 mesi in bottiglia. Il colore rosso porpora denota ancora una freschezza giovanile nonostante il vino abbia già tre anni. Il naso è molto spinto sui sentori floreali della viola e fruttati della ciliegia e dei frutti di bosco. Non mancano note erbacee e mentolate. Il gusto morbido ed equilibrato rende piacevole la ripetizione del sorso.

Lazio DOC Rosso “Senauro 2020”: blend con l’85-90% di Sangiovese e la restante parte di Merlot vinificati separatamente. Dopo un periodo di 23-24 giorni di fermentazione sulle bucce con rimontaggi a mano seguono 5 mesi in acciaio con svolgimento della fermentazione malolattica. Successivamente il vino invecchia per 8-12 mesi in barrique di rovere francese cui segue un periodo di 5-6 mesi di affinamento in bottiglia. Al naso si percepiscono note di frutti di bosco maturi, vaniglia e una speziatura dolce di cannella. In bocca si ritrovano calore e morbidezza che con la componente acida ed il tannino setoso danno al vino equilibrio e piacevolezza.

Per l’occasione, Erminio ha anche dato la possibilità ai presenti di effettuare degli assaggi di vasca sugli stessi vini della nuova annata in uscita. In generale si può dire che i due bianchi, sia pure con le differenze date dall’annata, si avvicinano già alle caratteristiche presenti in quelli degustati mentre per i rossi, pur essendo ben indirizzati, necessita di un po’ più di tempo per raggiungere l’equilibrio.

Con un finale a sorpresa, al termine della degustazione è stato versato nei calici non un vino ma il suo progetto, un qualcosa che non ha ancora preso pienamente corpo ma che Erminio ha in testa, senza però svelarlo pienamente. Un qualcosa che unisce il Violone ad un altro vitigno non rivelato. Qualcosa che avrà una dotazione alcolica importante e che probabilmente farà, tutto o in parte, un passaggio in legno. A giudicare da quello che abbiamo potuto capire le premesse sono più che buone per aggiungere alla lista un altro prodotto di grande qualità e territorialità.

Ma i progetti partono dalle idee e di idee per il futuro la cantina Papalino ne ha diverse, che vanno dall’ampliamento dei vigneti con l’aggiunta di nuovi 4 ettari alla produzione di una bolla e di un rosato per ampliare la gamma. Che dire, le premesse sono buone, non ci resta che attendere.

Azienda Agricola Papalino – Strada della Lega, 10 – 01024 Castiglione in teverina (VT) – Tel. +39 340 5352190, +39 380 1485874 – info@papalino.it – https://www.papalino.it

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